Piero Manzoni, la merda, l’artista. - EVASART

Piero Manzoni, la merda, l’artista.

Una di quelle cose che ti chiedono molte persone appena sentito che sei appassionato d’arte contemporanea : ma tu, sinceramente, che cosa ne pensi di quell’artista che ha messo la sua cacca in scatola e l’ha esposta al pubblico ? Da parte mia, vi confesso, la risposta solitamente si limita a una scrollata di spalle, seguita da qualche farfugliamento incomprensibile : la stessa reazione che ci si potrebbe aspettare da un tifoso juventino interrogato sulla retrocessione della sua squadra in serie B qualche anno fa.

Merda d’artista
Piero Manzoni
1961. Scatoletta di latta, carta stampata, feci umane o gesso (?)

A pensarci bene, tuttavia, la curiosità è lecita, e la domanda abbastanza prevedibile. La cacca, e in particolar modo la cacca di provenienza umana, ha sempre esercitato sulla gente un fascino perverso, un disgusto così forte da provocare, in alcuni casi estremi, quasi una forma d’attrazione ; il fatto pertanto che qualcuno abbia pensato d’inscatolarla al fine di spacciarla per un oggetto artistico non può che stimolare interrogativi e dibattiti, anche tra persone che di arte si interessano molto limitatamente.

La cacca inscatolata è effettivamente un’opera d’arte prodotta in serie : novanta barattoli di latta, del tutto simili a quelli comunemente utilizzati per contenere la carne, che nel 1961 l’artista italiano Piero Manzoni riempì delle proprie feci ed etichettò con la sfacciata dicitura di Merda d’artista. Una delle operazioni più azzardate nella storia dell’arte del ventesimo secolo, se non nella storia dell’arte tout court, che valse al suo promotore celebrità planetaria ma anche lo inchiodò per sempre nel ruolo d’artista dedito alla coprofilia – quello che ha messo la sua cacca in scatola, appunto. E dire che Piero Manzoni era un uomo di cultura raffinata, figlio di aristocratici lombardi e lontano discendente dello scrittore più odiato dagli studenti italiani di tutti i tempi, l’esecrabile autore del romanzo I promessi sposi.

Nato a Soncino, in provincia di Cremona, il 13 luglio 1933, Manzoni studiò a Milano, prima al liceo classico presso i Gesuiti poi alla Facoltà di Legge dell’Università Cattolica. Introdotto ancora giovanissimo nell’ambiente artistico milanese per il tramite della sua famiglia, iniziò a dipingere a diciassette anni, passando presto dalla ritrattistica e l’illustrazione di paesaggi a temi più d’avanguardia. Erano, quelli, gli anni in cui Palazzo Reale accoglieva lo sconvolgente Guernica di Pablo Picasso per una mostra di risonanza mondiale, veniva innalzato il celebre grattacielo Pirelli progettato dall’architetto Gio Ponti e i bohemien meneghini s’incontravano al bar Jamaica di via Brera per bere un bianchino, sgranocchiare noccioline e discutere del più e del meno : pittori, scrittori, fotografi e giornalisti condividevano esperienze, punti di vista e qualche segreto del loro mestiere.

Piero Manzoni respirava a pieni polmoni il fermento creativo che aleggiava nella Milano del secondo dopoguerra, ma a influenzarlo era anche la sperimentazione d’oltralpe, in particolare quella francese e tedesca. Gli artisti dell’epoca avevano abbandonato i codici tradizionali della rappresentazione per concentrarsi sulla ricerca materica : la materia, anzi, la riflessione sull’elaborazione materica, era la vera protagonista dei loro lavori. Intanto che Lucio Fontana bucava le tele e Yves Klein registrava il brevetto di una tonalità di blu da lui inventata, il giovane Manzoni impiegava gesso, feltro, colla, caolino, fibre di vetro e altri materiali per produrre la serie degli Achrome, opere incentrate sull’assenza di colore.

Merda d’artista
Piero Manzoni
1961. Scatoletta di latta, carta stampata, feci umane o gesso (?)

L’idea che pian piano si faceva strada nella testa di Piero Manzoni, esposta peraltro in diversi suoi scritti, era quella di un’arte organica, ossia un’arte composta da oggetti viventi : nel 1959, infatti, egli firmava corpi umani come se fossero creazioni artistiche, mentre l’anno seguente, in occasione di una performance pubblica, faceva la stessa con delle uova sode che venivano poi offerte in pasto alle persone presenti. Ad anticipare la famosa pensata degli escrementi in barattolo era un assortimento di quarantacinque palloncini di gomma che lui stesso gonfiò e definì enfaticamente Fiato d’artista, e da lì, dall’aria alla cacca, il passo fu breve ; nell’agosto del 1961, presso la Galleria Pescetto di Albissola Marina, furono presentate per la prima volta al pubblico le novanta lattine cilindriche della serie Merda d’artista.

Piero Manzoni, stando a quanto scritto sulle lattine stesse, aveva concepito quest’opera qualche tempo prima, nel mese di maggio, riempiendo ogni barattolo con trenta grammi dei propri escrementi e numerando in ordine crescente i pezzi dell’insolita collezione. Il prezzo con cui le scatolette erano messe in vendita equivaleva a quello di trenta grammi d’oro, così da evidenziare il parallelo tra mercato dell’arte e semplici logiche consumiste. L’evento, immaginerete facilmente, provocò subito lo scandalo tra il pubblico dei benpensanti : va bene l’orinatoio proposto come opera d’arte da Marcel Duchamp, vanno bene anche i rifiuti assemblati creativamente da Robert Rauschenberg, ma la merda, no, dai, la merda proprio no !

L’artista, com’era giusto attendersi, non fornì spiegazioni su ciò che aveva creato, di conseguenza intellettuali d’ogni sorta poterono davvero sbizzarrirsi nel cercare possibili interpretazioni. Aldilà del facile sberleffo nei confronti di critici e collezionisti d’arte, ormai disposti ad accettare di tutto, persino la cacca, purché fosse opera di un pittore o di uno scultore affermato, Merda d’artista suscitò in alcune persone reazioni inattese, quasi commosse : Piero Manzoni, dicevano, ha raggiunto una tale dedizione all’arte da cedere una parte di se stesso ai fini della creazione. Le feci, dopotutto, sono il prodotto diretto del nostro organismo. Il giovane artista, sfortunatamente, poté poco assaporare la notorietà procuratagli dall’ardimentoso exploit ; il 6 febbraio del 1963, a trent’anni nemmeno compiuti, fu colpito da un infarto letale mentre lavorava nel suo atelier milanese.

La merda che aveva prodotto e inscatolato, tuttavia, si diffuse presto in tutto il mondo, raggiungendo importanti musei e collezioni private e continuando a salire di prezzo ; l’ultima volta che un pezzo della serie fu battuto all’asta, nel dicembre 2016, il compratore se l’aggiudicò per 275 mila euro. La domanda che in molti continuano a porsi, a oltre mezzo secolo dal celebre episodio, ruota attorno al contenuto delle novanta opere d’arte : ma dentro quelle scatolette così linde e asettiche, c’è davvero la cacca di Manzoni ? Un giorno di qualche anno fa, un artista francese provò a schiuderne una e vi trovò un’altra scatoletta, più piccola, etichettata nella stessa maniera. Come se l’attività creativa consistesse semplicemente nell’atto di aprire, aprire, aprire… fino a scovare un bel pezzo di quella cosa scura e un poco maleodorante che ci piace tanto : l’arte.

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